IL MOSTO COTTO E L’ORIGINE DEL NOME
La parola mostarda deriva da mustum ardens, che a partire già dal XIV secolo compare in italiano con il significato di “mosto cotto con senape”.
Sull’uso delle uve e della preparazione della mostarda ne scrive già Francesco Tommasi da Colle Val d’Elsa, Medico e Filosofo, nel suo libro “Reggimento del padre di Famiglia” (Firenze 1580) “empiono un paiuolo o caldaro di acini d’uve, o bianche o rosse come a lor piace, di poi finiscon d’empier detto paiuolo di mosto negro o bianco: si bolle tanto che cali per metà, si cola per setaccio o stamigna, di nuovo si rimette a bollire, si sala quanto è espediente, et ultimamente vi si mette e mescola della senape pesta, e preparata in questo modo, cioè si tien per lo spazio di due notti in molle in aceto forte, e tanta se ne pon dentro, quanto basta a far la mostarda, o men dolce o più forte secondo i gusti di coloro, a’ quali piace: ma si passa per setaccio, acciocché gli acini, arilli, e fiocini rimanghin fuor del mosto: e gli si dà il sale, acciocché si conservi più tempo: e questo è il modo, che s’usa in Toscana”.
LA CONSERVAZIONE
La preparazione è lunga, ma non è troppo laboriosa e si può utilizzare nei mesi invernali come una qualsiasi conserva. La mostarda toscana si può preparare infatti in qualsiasi momento e in grandi quantità. Basta infatti procurarsi dei vasetti per il sottovuoto per gustarla anche in pieno inverno oppure regalarla. Insomma, una ricetta da fare assolutamente, anche perché è molto più semplice di quello che si pensa!