La lingua arivaresca di Vico Pancellorum: “Ucciavano la moccosa sulla pregiana e scorzavano” (stendevano la cera sulla toppa e si facevano ben pagare).
A Vico è nata una lingua vera e propria, che non è un dialetto e non è italiano. E arivaresco, perché parlata dagli stagnini chiamati anche arivari. Fino alla metà del novecento a Vico Pancellorum era ben viva l’arte degli stagnini. Da Vico andavano in tutta l’Italia centrale, in Emilia, nel Lazio, in Umbria, nel resto della Toscana per stendere lo stagno all’interno di pentole, paioli e caldaie di rame e riparare le toppe. Un’arte difficile, che richiedeva esperienza. Ma non tutti ce l’avevano e per questo alcuni invece dello stagno stendevano la cera. Quando l’inganno veniva scoperto, lo stagnino era già lontano, forse di ritorno a Vico, oppure verso altre riparazioni. Erano furbi e furbescamente inventarono una lingua per non farsi capire dagli altri e intendersi al volo fra loro, stagnini di Vico Pancellorum. Lessico italiano, con parole giocate in ambiguità espressive: Bello si dice calio e brutto storno. La gallina ips calia, la cipolla ips storna.
Tastacanali è il medico, stampariella è la mano e bori è il contadino. Proprio come la lingua zerga, dei nomadi e vagabondi del XV secolo che per difendersi e sopravvivere meglio non si facevano capire in quel che dicevano. L’arivaresco è stato recentemente oggetto di tesi di laurea e ancora vive a Vico Pancellorum. Oggi grazie all’Associazione Risveglio di Vico Pancellorum guidata da un abitante, Claudio Stefanini, questa lingua è stata salvata e continua a tramandarsi in alcune famiglie di Vico. Per esempio in quella di Manuel Mingazzini, che l’ha imparata da suo nonno e la parla tutti i giorni in casa con la moglie e le figlie piccole, che faranno altrettanto con i loro bambini… E l’arivaresco continua a vivere.
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