Una “crema speciale preparata col brodo invece che con il latte”.
Giovanni Righi Parenti, La cucina toscana
4 uova
1 l di brodo di pollo
1 bicchiere di vin santo secco
50 g di burro
1 pizzico di zucchero a velo
1 pizzico di cannella in polvere
1 pizzico di noce moscata
Sale q.b.
La ginestrata è una zuppa tipica del Chianti che si è diffusa anche nel Valdarno e nella Val di Chiana, fra le province di Firenze, Arezzo e Siena. Ma non ha niente in comune le altre zuppe e minestre toscane, nate dalla creatività popolare contadina che ha sfruttato ingredienti poveri (legumi, verdura, pane raffermo etc..) e li ha resi un trionfo di sapori, odori e colori. La Ginestrata no. Lei è una zuppa aristocratica, ricca di spezie e ingredienti costosi.
La Ginestrata nasce nelle ricche dimore dei nobili in epoca rinascimentale, quando le costosissime spezie giunsero in Europa tra il XV e il XVI secolo.
Giovanni Righi Parenti nel suo libro “La cucina toscana” la definisce un’antica pozione, tonificante e perfino afrodisiaca: “uno stimolante alle più ardue imprese, un tonico sicuro e infine un afrodisiaco”
Si, perché la Ginestrata aveva funzioni rinvigorenti e veniva prescritta ai malati, a chi doveva recuperare le forze, prima delle battute di caccia etcc… Infatti al suo interno troviamo tutti gli ingredienti dal potere ricostituente: tuorli d’uovo, vin santo secco, zucchero, cannella, noce moscata e brodo di pollo, un rimedio della nonna sempre valido per guarire più in fretta da raffreddore e malanni di stagione.
Dall’epoca del Rinascimento fino agli inizi del secolo scorso la Ginestrata veniva data anche ai novelli sposi il mattino dopo la prima notte di nozze e al ritorno dal viaggio nuziale.
La Ginestrata si chiama così perché il suo colore giallo ricorda quello dei fiori di ginestra toscana.
Dall’ottocento fino alla metà del novecento era uso che la madre dello sposo a regalasse alla nuora, per accoglierla in casa sua, una ciotola di ginestrata riposta all’interno di un piccolo vassoio ricavato da rametti di ginestra intrecciata.
DA GINESTRATA A ZABAIONE
In alcuni antichi ricettari la Ginestrata viene associata allo “Zabaglione”, tanto che Maria Attilia Fabbri Dall’oglio nella sua opera “Civiltà della tavola” afferma che lo Zabaione potrebbe essere considerato l’evoluzione della Ginestrata “per la presenza, insieme alle uova, allo zucchero, alle spezie, del vino, elemento tipico del citato “Zabaglon” del Codice Bühler 19, ricettario anonimo sul finire del Quattrocento di area napoletana, mancante, però, nella ginestrata”
Ecco perché la Ginestrata è chiamata zuppa, minestra, crema o bevanda (in questo caso viene servita in tazza). Oggi in disuso perché non è più attuale accostare il dolce al salato, per la sua bontà merita assolutamente di essere riscoperta.
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