Il crostino nero toscano in tutte le sue varianti che ogni città custodisce gelosamente è l’antipasto toscano più imitato nel mondo. Il suo sapore richiama gusti antichi e non concede vie di mezzo: o è amato o è odiato. E’ sinonimo di toscanità e la sua origine si perde nella notte dei tempi. Ti proponiamo la ricetta e di seguito la storia di questo piatto originale:
Tra le varianti abbiamo scelto quella con la milza e con il vinsanto, un po’ più elaborata e “raffinata” ma dal gusto eccelso.
PREMESSA: è assolutamente necessario pulirei fegatini sciacquandoli sotto l’acqua ed eliminando gli eventuali sacchetti con il fiele, che renderebbe la salsa amara.
[De salsa] pro columbis: pro columbis vel pullis, accipe ficatella eorum sive jecora, quod idem est. Et assa super prunas. Et post tere in motario cum pipere et pane assato mollificato et distemperato cum vino et aceto. Et fac bullire, si vis
che tradotto significa:
“per colombi o polli: prendi i loro fegatelli o altre interiora, è lo stesso. Arrostiscili. E dopo pestali in un mortaio con pepe, pane arrostito e stemperato con vino e aceto. Fai bollire, se vuoi”
Liber de coquina, ricettario del XIII secolo
Questa è la prima rudimentale ricetta che sta all’origine del crostino nero toscano. Un antipasto popolare, che permetteva di non sprecare il pane del giorno precedente scaldato e servito con paté a base di carne dai tagli non certo più ricercati, come certamente sono fegatini di pollo oppure la mescolanza di frattaglie. In genere il pane veniva abbrustolito, bagnato nel brodo o nel vino e ricoperto con un trito delle parti più povere degli animali.
Col tempo e con l’affinarsi della ricetta aggiungendo gli odori fu adorato anche dai nobili che con questo crostino dettero vita ad un’altra tradizione culinaria: l’antipasto, che si diffuse ben presto nelle altre corti europee.
L’uso della fetta di pane come base solida dove appoggiare il cibo risale alla notte dei tempi e Virgilio ci racconta che Enea mangiava “le mense”, cioè la base costituita per lo più di farina dove i troiani appoggiavano gli alimenti, che diventava gustosa dopo aver ospitato le pietanze.
Per alcuni la parola crostino deriva dal latino “crustum” biscotto, ma più probabilmente deriva da crustulum, crosta: la fetta di pane del giorno prima scaldata è in effetti dura come la crosta.
In Toscana questa pietanza è talmente diffusa che con l’espressione essere un crostino si indica anche una persona che ha tanti mali fino a diventare noiosa.
La base è sempre la stessa: una salsa di fegatini di pollo (oppure una mescolanza di frattaglie), olio, capperi, acciughe, cipolla, che viene spalmata sul pane caldo. A seconda della provincia però si aggiunge oltre alla cipolla un battuto di carota sedano prezzemolo, a volte un po’ di conserva di pomodoro. Oltre al rosso viene usato anche il vin santo o il cognac o il marsala secco. C’è chi li bagna con il brodo o li lascia asciutti e chi aggiunge un po’ di milza di vitella. In quasi tutte le ricette si trovano però i capperi per alleggerire il gusto un po’ dolciastro dei fegatini.
A Siena si mette il dragoncello, come narra una leggenda che ci parla di un soldato straniero che, scuotendo i suoi stivali dal balcone fece cadere sui vasi del piano sottostante dei semi di dragoncello. La ragazza del piano di sotto, che nel frattempo si era innamorata del soldato, quando lui parti preparò in ricordo una salsa dolce al profumo di dragoncello.
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