Distribuzione Geografica ed Habitat
La Fusaggine è un arbusto che cresce nei boschi misti di latifoglie. Si tratta di una specie Euro-Asiatica ed in Italia è presente su tutto il territorio nazionale.
L’ Euonymus europaeus è una pianta alta dai 3 agli 8 metri; ha un fusto eretto ed una corteccia di colore grigio-verdastra in età giovanile che poi diviene bruno-rossastra, liscia, così come i rami, che da giovani sono glabri. I giovani rami sono caratteristicamente quadrangolari ed hanno la corteccia verde punteggiata di chiaro. Ha foglie opposte di 3×7 cm circa, munite di picciolo lungo 4-8 mm e con lamina ovato-lanceolata, acuta o acuminata all’apice, con base arrotondata e margine finemente seghettato; la pagina superiore è glabra e di colore verde scuro, mentre quella inferiore, più chiara, è glabra, o può presentare al più della pubescenza lungo le nervature. Nel periodo primaverile si formano dei piccoli fiori bianchi ermafroditi che, in autunno, danno origine ai caratteristici frutti rossi dalla curiosa forma simile al cappello usato dai sacerdoti cattolici (da cui prende il nome comune).
La tossicità dei frutti di questa pianta era già nota allo storico e naturalista latino Plinio il Vecchio. Il legno duro veniva usato per fare fusi e stuzzicadenti; gli zingari lo utilizzavano invece per ricavarne aghi da cucito e grucce. L’Euonymus europaeus è pertanto una pianta velenosa (foglie e in particolare corteccia e frutti) che per la bellezza dei frutti e delle foglie, rosse in autunno, è molto utilizzata nei parchi e nei giardini. Il suo legno che odora di mela è molto duttile ed un tempo veniva impiegato nei lavori di intarsio, e per realizzare i “fusi” per la lana (da cui deriva il nome comune di nomi Fusaggine).
I giovani rami, carbonizzati, erano utilizzati dai pittori come carboncino; inoltre il carbone, leggero, entra nella composizione della polvere da sparo.
I principi attivi sono costituiti da un glucoside amaro e a probabile azione digitalica: l’evonimina e da dulcite, acido evonico, asparagina, fitosterina e resine.
La berretta del prete trova impiego terapeutico; per via orale è da usare con assoluta prudenza: ha energica azione purgativa ed emetica. Per uso esterno il decotto di foglie è cicatrizzante, mentre i frutti ridotti in polvere, o il loro decotto, sono utili contro i parassiti cutanei (pidocchi e acari della scabbia).
Attenzione perché dosi elevate o ingestioni occasionali di frutti (3 o 4 di essi purgano energicamente un uomo adulto) possono causare seri avvelenamenti, che si manifestano con dolori addominali, vomito e diarrea persistenti, quindi con perdita della conoscenza.
Per tale motivo è una pianta da evitare assolutamente, per la sua tossicità e per la difficoltà di dosaggio.
Inoltre bisogna porre particolare attenzione in quanto i frutti rosei, acri e velenosi, possono richiamare l’attenzione dei bambini.
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